di Bruno Cattoli, coordinatore regionale dell’Unione inquilini.
La legge regionale che la Giunta ha intenzione di approvare in materia di edilizia residenziale pubblica prevede:
- Dieci anni di residenza in Lombardia per poter richiedere una casa popolare;
- eliminazione delle assegnazioni per emergenza da sfratto;
- temporaneità dell’assegnazione di casa popolare;
- entrata massiccia delle cooperative e del privato sociale nella gestione dell’emergenza sfratti e del patrimonio pubblico;
- nuovo aumento dei canoni da affitto;
Già questo fa capire che quella che si sta per aprire è una battaglia decisiva per mantenere un ruolo sociale dell’attuale patrimonio pubblico e garanzie minime di tutela sociale per tutti coloro che si trovano in situazione di precarietà abitativa o non riescono ad accedere o a rimanere in un mercato privato dove i costi, malgrado la crisi, continuano e rimanere elevatissimi e insopportabili per un numero crescente di famiglie.
L’Unione Inquilini ritiene che il progetto di legge che l’Assessore regionale alla casa, Fabrizio Sala, ha presentato ai sindacati inquilini e che la Giunta regionale intende approvare entro novembre 2015 è ancora più insidioso di quanto sembra.
Infatti , per esempio per quanto riguarda i canoni sociali questi verrebbero sottratti ai processi di decisione e di controllo democratico, demandandoli a successivi regolamenti di giunta, dando cosi una delega in bianco al Governo regionale con un accentramento decisionale inaccettabile politicamente e socialmente perché consentirebbe modifiche peggiorative al di fuori di un confronto con la realtà, figlie solo di un ragionamento ragionieristiche inaccettabile in un intervento social.
In particolare intendiamo segnalare come con questa proposta venga totalmente stravolto il concetto di edilizia pubblica e popolare, almeno per come si è storicamente determinato in Italia.
Tra l’altro si introduce una distinzione tra “patrimonio” e “servizio offerto”.
Infatti La natura del patrimonio riprende la definizione generica vigente di alloggio sociale che comprende di fatto tutti gli alloggi offerti a canoni “inferiori a quelli di mercato”.
La natura dei servizio appare slegato dal finanziamento e dalle finalità con cui è stato realizzato e viene invece subordinato alla natura dei soggetti beneficiari, nell’ambito di un quadro di compatibilità economiche ( questo il vero leit motiv della legge) deciso da chi gestirà il patrimonio.
I soggetti gestori non saranno più solo ALER e Comuni ma anche altri operatori accreditati: cooperative, terzo settore o imprese edili.
Il rischio e la possibile conseguenza è che nel corso del tempo lo stesso alloggio potrebbe essere utilizzato per diverse finalità nel quadro dell’housing sociale.
Appare plausibile che questo comporterà prevedibilmente il massiccio ingresso di cooperative e terzo settore nella gestione dell’edilizia residenziale pubblica, soggetti interessati al business della precarietà abitativa con una ottica del tutto mercantile che non tiene conto dei bisogni dei soggetti sociali.
Va chiarito e sottolineato che l’ampliamento dei soggetti che possono realizzare e gestire il patrimonio di edilizia sociale, potrebbe avvenire non solo e non tanto con l’apporto di nuovo patrimonio, ma con la gestione di parte di quello attualmente esistente.
Altro punto cardine della “riforma” è quello di collegare le assegnazioni alle compatibilità economiche dei soggetti gestori, ALER in primis ( ancora una volta diventa prioritario nell’ambito del pensiero unico e liberista sul quale si basa questa proposta di legge, la compatibilità economica non dei soggetti svantaggiati ma delle “imprese” che intendono entrare nell’erp o presunto tale).
Le oggettive difficoltà economiche dei soggetti gestori sono, in buona parte, derivanti da scelte aziendali dissennate che poco hanno a che fare con la gestione dell’edilizia sociale.
La Giunta Maroni, invece di prendere atto del fatto che nessuna politica sociale può essere a costo zero, e che quindi si sarebbe dovuto procedere sulla via di canali continuativi e strutturali di finanziamento pubblico per la realizzazione, il recupero e la gestione delle case popolari, va in direzione opposta subordinando le nuove assegnazioni di alloggi pubblici e la gestione dei rapporti di locazione alle compatibilità economiche dei soggetti gestori, che da anni lamentano di avere utenti “troppo poveri” per garantire l’equilibrio di bilancio (coprire i costi con i ricavi derivanti dagli affitti). In questo modo si annienta del tutto il carattere sociale dell’erp e gli assegnatari diventano degli utenti che devono garantire il “gestore/ proprietario” dal punto di vista economico garantendogli neanche solo il pareggio di bilancio ma lauti guadagni.
La riforma in salsa leghista che viene prospettata è tutta tesa a penalizzare i soggetti con minore capacità economica, anzi ad escluderli dal sistema dell’edilizia residenziale pubblica e chi è in condizione di disagio acuto sarà obbligato ad essere in carico ai Servizi sociali o ai “caritatevoli benefattori privati” (i soggetti accreditati?) per poter accedere a forme di puro assistenzialismo
Anzi peggio, si aprirebbe la possibilità per i soggetti gestori diversi dai comuni (ALER e accreditati) di limitare l’accesso dei soggetti in maggiore difficoltà economica imponendo quote massime di accesso, questo al fine di garantire la sostenibilità economica della gestione ed il “mix sociale.
Da qui la conferma dell’obiettivo vero della riforma che, come già detto, è la sostenibilità economica non, come sarebbe necessario, la risposta ad un fabbisogno abitativo, anche in funzione di calmieratore del mercato che potrebbe derivare solo da una presenza congrua di alloggi a canone sociale.
Ultimo preoccupante elemento anche tenuto conto della situazione drammatica che i dati sugli sfratti fotografano, è la ulteriore possibilità che la Giunta regionale possa, con l’obiettivo di “valorizzare” il patrimonio pubblico senza per forza doverlo vendere, sottrarre alloggi dalle procedure ordinarie di assegnazione e di gestione dell’edilizia pubblica in casi particolari quali ristrutturazioni e nuove assegnazioni.
In tale senso è necessario che le iniziative di lotta siano unificanti di un fronte che non solo veda la presenza degli assegnatari e di coloro collocati nelle graduatorie ma anche di sfrattati e precari della casa che devono vedere con forte preoccupazione il venire meno con la riforma prospettata di possibili passaggi da casa a casa e di risposta concreta al fabbisogno reale.
Tutto quello che abbiamo esposto fino ad ora evidenzia un processo di consistente riduzione della quota di patrimonio pubblico destinata ai soggetti che rientrano negli attuali limiti di reddito per l’edilizia pubblica sociale (ERP), che rappresentano invece oltre il 96% di chi ha presentato domanda di casa, e ancor di più per quelli tra loro in condizioni di maggior bisogno.
Altri elementi preoccupanti della proposta di legge sono: il nuovo sistema di gestione delle emergenze abitative e la temporaneità dell’assegnazione.
Sul primo punto si prevede la fine della gestione dell’emergenza sfratti e delle emergenze in generale tramite l’assegnazione di alloggi popolari. Infatti vengono eliminate le assegnazioni in deroga alla graduatoria, oggi previste in particolare per gli sfrattati, che hanno permesso per oltre 30 anni, soprattutto a Milano, di gestire l’emergenza abitativa. Si stabilisce invece che il 15% del patrimonio sia sottratto alle assegnazioni di edilizia sociale e sia invece adibito a “Servizi abitativi temporanei” una sorta di CIE degli sfrattati, , che possono essere gestiti anche da cooperative o da privato sociale, salvo poi una eventuale futura assegnazione per bando ordinario, che diventerebbe ovunque almeno annuale (prima, almeno nelle città più grosse, poteva essere semestrale e quindi più “sensibile” ai cambiamenti di condizione dei richiedenti.
L’altro strumento per gestire la crescita degli inquilini in condizione di “morosità incolpevoli” sarebbero le agenzie per la casa, già oggi attive in alcune realtà, con risultati non proprio esaltanti, e capaci di dare risposte di ricollocazione sul mercato privato solo ai soggetti con un reddito relativamente alto e le cui difficoltà economiche sono limitate nel tempo-condizione purtroppo minoritaria tra gli sfrattati, a causa del crescente divario tra la capacità economica delle famiglie ed il livello di canoni e mutui e della pesantezza e durata della crisi-.
In definitiva, per quanto riguarda la gestione delle emergenze abitative ed in particolare degli sfratti, si rischia di passare da un modello basato sulle assegnazioni di alloggi pubblici con procedure definite, ad uno basato prevalentemente sul privato più o meno sociale, come già accaduto in altre città, come Roma, con risultati pessimi in termini di efficacia, trasparenza e costi per la collettività.
L’ altro pezzo forte della “riforma” è la temporaneità dell’assegnazione, che durerebbero 8 anni, al termine dei quali verrebbero rinnovate solo in caso di permanenza dei requisiti reddituali e patrimoniali per l’accesso (non come ora con un limite di decadenza più elevato,che tiene conto conto di possibili miglioramenti, pur entro determinati limiti, delle condizioni economiche degli assegnatari), pena la risoluzione del contratto.
Se a questo aggiungiamo le ulteriori limitazioni per i subentri e possibilità di rescissione unilaterale del contratto di locazione da parte dei gestori per vari motivi, tra cui la morosità, in sostituzione della procedura di decadenza, ci rendiamo conto che la condizione di precarietà che caratterizza gli inquilini del mercato privato si estenderebbe anche a quelli di edilizia pubblica, senza che questo nemmeno favorisca una maggiore entrata di nuovi richiedenti “più bisognosi” ,sia per quanto detto prima sulle procedure di assegnazione, sia perché attualmente il problema non è la mancanza di alloggi pubblici vuoti,(10000 solo a Milano, 200 a Bergamo etc ) ma quello della mancanza di fondi per ristrutturarli e il progetto di legge non affronta se non in modo generico e inconsistente il problema del finanziamento dell’edilizia pubblica.
Per quanto riguarda i canoni, infine, rimangono, insieme ad alcune “evidenze”, molte incertezze: quello che è certo è che si prevede l’abolizione delle 4 aree di canone e adozione di un canone commisurato non più al valore locativo dell’alloggio ed al reddito del nucleo assegnatario, ma anche alla sostenibilità economica del gestore ( come vedete questo è il punto strategico che dobbiamo ben comprendere e comunicare) .
Le forme di sostegno agli inquilini nella fascia di maggior disagio economico vengono demandate ai comuni, nel quadro delle politiche di assistenza ( si passa dal diritto alla casa all’assistenza caritatevole) mentre per gli altri viene previsto un fondo regionale in caso “difficoltà momentanee”
Quindi, in ogni caso, si profila, dopo soli otto anni dal pesantissimo aumento degli affitti del 2008 con la L. 27, che ha messo in enorme difficoltà gli assegnatari e fatto schizzare la morosità da quote fisiologiche a punte del 40-50% in alcune ALER e Comuni, un nuovo attacco ai canoni, anche se i termini vengono rimandati ai regolamenti attuativi, e si rischia che si abbiano canoni diversi, a parità di condizioni, tra i vari gestori.
I tempi per contrastare il progetto di legge sono stretti, in quanto l’Assessore Sala prevede di far approvare il testo di legge in giunta entro settembre, e terminare il percorso di approvazione da parte del consiglio regionale entro novembre 2015.
Purtroppo la complessità e l’ apparente “tecnicità” dell’argomento non favoriscono una piena comprensione della pesantezza dell’attacco e il modello che si prefigura può sembrare attraente per molti, dalle ALER, ai Comuni alle prese con enormi difficoltà di bilancio, al mondo cooperativo, che ha già manifestato il suo interesse all’entrata nella gestione dell’edilizia pubblica, a condizione che siano previsti sufficienti margini di profitto e garanzie contro i rischi ( ma guarda un po’).
Deve essere però chiaro che si tratta di una battaglia decisiva per il mantenimento di un ruolo sociale dell’edilizia pubblica e perché settori crescenti della popolazione godano di diritti e non vengano spinti verso la marginalità o peggio nell’ambito dell’esclusione sociale.
L’Unione Inquilini condurrà questa battaglia nei prossimi mesi, informando e coinvolgendo assegnatari e richiedenti di case popolari e ricercando la massima unità con le altre organizzazioni sindacali, con i comitati, i movimenti e le forza politiche che credono che il diritto alla casa debba essere garantito come diritto fondamentale di ogni persona.
In particolare è necessario in tempi brevi procedere alla stesura di un volantino regionale chiaro e con pochi punti di sintesi denunci quanto sta accadendo, sulla base di questo le sedi sono chiamate a promuovere assemblee nei caseggiati con gli assegnatari, assemblee con le famiglie collocate nelle graduatorie e con sfratto eseguito o da eseguire in quanto questa pseudo riforma mercantile mette a rischio il loro diritto alla casa. Si deve insomma promuovere un vasto movimento di popolo per bloccare questa infame riforma. Al contempo come detto vanno poste in essere tutte le iniziative del caso nei confronti di altri sindacati e partiti per ampliare il più possibile in fronte anche coinvolgendo i consigli comunali.
Il coordinatore regionale dell’Unione Inquilini
Bruno Cattoli