di Riccardo Pennati (Prc/SE Milnao)

SLITTAMENTO RIFORMA DELLO SPORT

Con l’approvazione della legge di bilancio e del decreto mille proroghe è stato ufficializzato lo slittamento, l’ennesimo, dal 1° gennaio al 1 luglio dell’entrata in vigore della riforma dello sport. Dopo il primo stop dovuto al decreto correttivo approntato dal Governo Draghi, vi è un nuovo slittamento dovuto pare a ragioni di tipo tecnico, anche se non c’è da escludere che ci siano anche ragioni di tipo politico con pressioni esercitate da CONI, Federazioni ed Enti di promozione sportiva che già erano intervenuti in occasione del decreto correttivo.

Come anticipato, la riforma dovrebbe entrare a regime dal 1° luglio 2023 anche se a questo punto non si escludono possibili cambi di programma o ulteriori modifiche, in quanto durante questi mesi si sono potuti approfondire gli aspetti applicativi concreti di questa riforma in ambito lavorativo facendone emergere ulteriori limiti e criticità sia sul versante società sportive sia sul versante dei lavoratori e nello specifico di quelli che lo fanno come attività principale.

UNO SLITTAMENTO PER RAGIONI TECNICHE

Affinché possa entrare a regime la riforma necessita che sia attiva ed operativa la piattaforma telematica dedicata alle comunicazioni in ambito lavorativo del Registro delle Attività Sportive, RAS, un nuovo adempimento a carico di società sportive, Federazioni ed Enti di promozione sportiva, entrato in funzione da circa un anno. Tale registro al momento è operativo solo per fare registrare le società le quali possono scaricare il certificato di affiliazione; nelle intenzioni del Governo Conte con la creazione di Sport e Salute struttura parallela al CONI, il RAS avrebbe dovuto soppiantare il Registro CONI (attuale albo dove le società sportive sono accreditate e vengono inseriti oltre ai dati societari anche quelli relativi agli atleti iscritti, alle attività sportive svolte.) . Con l’avvento del Governo Draghi la situazione è cambiata ed attualmente entrambi i registri sono operativi, peccato che la piattaforma operativa del RAS non sia ancora disponibile ed è diventato necessario questo slittamento.

LE RAGIONI DELLE SOCIETA’

Società sportive, federazioni e CONI hanno fatto pressioni per uno slittamento della riforma per ragioni di tipo organizzativo ed economico: far partire l’inizio della riforma a gennaio 2023 (in concomitanza con l’anno fiscale) avrebbe voluto dire che nella stagione sportiva in corso (che va da settembre ad agosto)  sarebbero stati operativi il regime attuale con le lettere di incarico fino a dicembre e in seguito quello nuovo con contratti co.co.co (la stragrande maggioranza) e P.IVA, con conseguenti problematiche a livello organizzativo/gestionale  in capo alle società sportive, tra le quali ad esempio le modalità di pagamento compensi dei compensi di gennaio 2023 e il nuovo inquadramento del personale amministrativo gestionale.

Lo scoglio principale però rimane quello dell’aggravio costi in capo alle società per via sia di nuovi adempienti in materia di sicurezza sul lavoro e fiscale, ma soprattutto per l’esborso della parte previdenziale a partire dai 5.000 euro (prima la no tax area era a 10.000 e riguardava solo l’irpef) di cumulo compensi dei collaboratori. L’imposizione (finalmente) degli oneri previdenziali che sarà intorno al 25% sarà per 1/3 a carico del lavoratore e per 2/3 in capo alla società sportiva anche se per i primi 5 anni tali oneri sono ridotti al 50%. Questo slittamento è una mossa per prendere tempo, per aspettare un affossamento o ulteriori modifiche e nel frattempo per prendere contromisure per ridurre l’impatto delle riforma con seri rischi per i collaboratori: una prima mossa potrebbe essere la riduzione dei compensi orari del 7-10% per eliminare l’impatto dei 2/3 di contribuzione previdenziale ed altri oneri, considerato che la riforma non prevedeva l’imposizione di un salario minimo orario, altra quella di avere tutti i collaboratori sotto la soglia dei 5.000 euro, il che vorrebbe dire che quelli che dovevano essere i beneficiari primi di questa riforma, ossia i lavoratori sportivi dilettantistici full time rischieranno di essere quelli maggiormente penalizzati e costretti giocoforza a doversi mettere in P.IVA (=costi zero a carico delle società).

I LAVORATORI

Questa riforma nei proclami trionfalistici di Spadafora prima e in misura minore della Vezzali poi, avrebbe dovuto finalmente garantire diritti e tutele ai lavoratori di questo comparto fino ad oggi in una sorta di “nero legalizzato”, ma nella pratica rischia che questi buoni propositi rimangano sulla carta alla luce di quanto illustrato prima, specie per quei lavoratori full time nel settore sportivo. Per chi lo svolge come seconda occupazione e rimane sotto i 5.000 €/anno sostanzialmente non cambia niente. Per chi va oltre quella soglia ha i contributi previdenziali da versare (24 o 25% a seconda della situazione di cui 1/3 a carico diretto del lavoratore) . Si può dire una cosa positiva peccato che da simulazioni fatte un lavoratore sportivo che guadagna 20.000 €/anno verserà circa 3.600 € di contributi previdenziali, peccato che per l’INPS un anno completo di contributi equivalga a più di 16.000 il che vuol dire che tale somma versata serve per la gestione corrente dell’Istituto di Previdenza Nazionale, lasciando quindi molte perplessità in merito. L’onere di pagamento dei 2/3 di tali contributi porterà le società ad avere più collaboratori che lavorino sottosoglia, o mettere nelle condizioni gli altri di mettersi in P.IVA con tutti i costi a carico del lavoratore.

Questa riforma nella parte relativa al lavoro, spiace dirlo, ma rischia seriamente di diventare una sorta di libro dei sogni; è l’esito di un puro esercizio di propaganda senza costrutto, dove vengono sbandierati dei diritti che poi non verranno applicati o che la loro applicazione si rivela di molto depotenziata (vedi gli aspetti previdenziali). Sport e Salute aveva tutta una mole incredibile di dati sul lavoro nel sistema sportivo con tutti questionari arrivati per le richieste di indennizzo da parte dei lavoratori e l’impressione è che non siano stati utilizzati o in malo modo. Una riforma seria sulla parte lavoro al contrario avrebbe dovuto affrontare il tema del salario minimo orario e non di modificare le soglie della “no-tax area”, operare una distinzione netta tra società sportive che traggono utili dalla gestione diretta degli impianti sportivi di fatto configurandole come “aziende” al pari di operatori commerciali come Virgin, però consentendo ampi margini di risparmio sul costo del lavoro, rispetto a società che fanno solo e soltanto pratica sportiva. Una riforma seria avrebbe affrontato la parte relativa al trattamento previdenziale in modo tale che questa poi potesse essere un qualcosa di tangibile in futuro e non che uno debba lavorare 4-5anni per maturare un anno di pensione.