di Antonio Muscolino.

La legge 23/15 approvata lo scorso 14 agosto, è il risultato di una azione partita mediaticamente come “riforma” del Servizio Sanitario lombardo dopo il ventennio formigoniano nell’intorno degli scandali scoppiati al termine delle scorsa legislatura e che hanno coinvolto diversi esponenti politici fra i quali anche lo stesso presidente della regione dell’epoca.

L’analisi dei problemi che si sono venuti a creare da quel tipo di impostazione di politica sanitaria in qualche modo e paradossalmente erano stati rilevati -per diversi aspetti- dal “libro bianco” con il quale si stigmatizzava, ad esempio,  la totale separazione fra ospedale e territorio chiedendone la riunificazione in un nuovo contesto riformato, appunto. I risultati sono stati ampiamente insufficienti anche se probabilmente ampiamente prevedibili.

Non a caso dalla parola “riforma” si è poi passati ad “evoluzione” del sistema – come recita il titolo della legge-. In effetti non appaiono grandi differenze nel filo conduttore rispetto a quanto impostato nel 1997.

La maggioranza aveva bisogno, almeno per una sua parte, una continuità con il passato anche solo per non rendere palesemente evidente una ammissione di errori.

La nascita delle nuove Agenzia per la Tutela della Salute (ATS) e Aziende Socio Sanitarie Territoriali (ASST) ha certo determinato una profonda rivisitazione organizzativo-geografica trascinando il sistema sanitario verso un orizzonte non chiaro e con tempistiche di assestamento non certe. L’unica consegna data formalmente a tutte le strutture è stata di proseguire normalmente con il proprio lavoro (soprattutto dove si ha a che fare con l’erogazione di prestazioni e servizi al pubblico) nel momento in cui il contesto sta forzatamente e confusamente mutando. Un reale gattopardo sanitario sta crescendo sotto i nostri occhi.

La legge infatti presenta fin da subito i propri principi che rimangono immutati: la libera scelta e la separazione fra acquirenti e produttori (quasi mercato) con la concorrenza insita fra questi ultimi nel sistema. La libera scelta è nettamente in contraddizione con la “presa in carico” della persona, tanto sbandierata. Infatti una reale “presa in carico” prevederebbe una sorta di accompagnamento e indirizzo in un momento -peraltro- di grande fragilità. Qui si sorvola ancora una volta sul problema precipuo in sanità che è rappresentato dalla “asimmetria informativa”, cioè dai differenti livelli informativi fra l’acquirente (il malato) e il venditore (la struttura socio-sanitaria erogatrice), relativi alle caratteristiche dei servizi che vengono richiesti . Ciò che invece viene riproposto, la libera scelta, lascia di fatto la persona sola nel decidere “à la carte”, come su di un menu, cosa acquistare nel mercato dell’assistenza e della cura. Ancora una volta il centro rimane il mercato dell’ assistenza e della sanità che ha semplicemente bisogno di un vettore (la persona) per poter iniettare nel sistema il denaro -pubblico, in modo preponderante- messo a disposizione a tutte le strutture accreditate -pubbliche e private-.

Non solo: questo meccanismo ha ingenerato in questi anni, ed ancora ingenera, l’idea che in un sistema socio-sanitario sia importante esclusivamente ricevere qualcosa, quale che sia. In questo, il sistema lombardo è senza dubbio molto efficiente, ma il fine non pare essere -ancora oggi- il reale risultato di salute (che dovrebbe prevedere come momento centrale la prevenzione primaria, unico metodo per ridurre realmente la malattia) e neanche il risultato finale di un intervento. Viene infatti riconfermato, infatti, il pagamento a prestazione per gli interventi ambulatoriali e il sistema  di rimborso basato sui DRG per i ricoveri (un prezzo “forfetario” omnicomprensivo). Da qualche anno, inoltre, per la parte relativa alla cronicità, si sta implementando un metodo simile denominato Creg. La finalità principale è la “blindatura” ragionieristica delle uscite mantenendo comunque inalterata la mercificazione del sistema sanitario come definito dalla riforma Formigoni del 1997. Tutto ciò in linea con quanto si sta proponendo anche a livello nazionale legando i diritti (alla salute, ma non solo) alle disponibilità finanziarie, o -come si dice dai tempi del libro bianco di Sacconi- implementando l’ossimoro dell’“ l’universalismo selettivo”.

Ritornando alla legge 23/15, è bene ricordare che agisce modificando il solo titolo I del testo unico delle leggi sanitarie (l.33/09), di fatto andando a ridisegnare l’involucro, rivedere il “packaging” degli enti socio-sanitari pubblici -non dimenticandosi, ovviamente, dei ruoli dirigenziali che ne devono stare al vertice-, mentre alcuni importanti contenuti, previsti dal titolo II, faranno parte di un nuovo intervento normativo che, dopo l’ennesimo scandalo avvenuto poche settimane fa e che ha coinvolto il relatore della “riforma”, probabilmente subirà anch’esso una battuta d’arresto.

E’ interessante, comunque, sottolineare come la corruzione e le truffe si siano così rese evidenti in questo sistema basato su accreditamenti pubblico-privati regolati dalla “concorrenza”.

La nuova geografia territoriale, è stato detto, si è basata su una valutazione della “mobilità” regionale. Se questo sia legato alla sola possibilità per i pazienti di raggiungere le strutture più vicine (in previsione di qualche accorpamento/ chiusura?) ovvero sia propedeutico ad una “ottimizzazione” del personale su differenti strutture per agire con economie di scala anche in questo settore, lo verificheremo nel prossimo futuro.

Vi sono poi anche altri aspetti interessanti. E’ infatti previsto, fra gli altri, una “Agenzia di promozione” con la finalità di “marketing” del sistema sociosanitario lombardo “sul territorio nazionale ed a livello internazionale, ivi compreso il reperimento di adeguate risorse finalizzate

a sostenere l’innovazione e la ricerca nelle strutture di riferimento specialistico, anche provenienti da prestazioni erogate a cittadini beneficiari di fondi integrativi, mutue e prestazioni in solvenza”. Si possono qui leggere in trasparenza le tendenze sempre più forti ad una nascita di servizi sanitari a diverse velocità basate sulle assicurazioni personali che di fatto cancelleranno l’universalismo e la solidarietà su cui nasce il Servizio Sanitario Nazionale poiché differenziati sulle potenzialità economiche dei singoli. E’ sconcertante verificare come anche le organizzazioni sindacali maggiori sembrino perseguire questa finalità che non determina certo la priorità della prevenzione primaria e la ricerca di una migliore efficacia delle prestazioni.

In questo quadro è ancora più importante che nel passato ribadire l’importanza del mantenimento di un Servizio Sanitario Nazionale pubblico basato sulla fiscalità generale che sia maggiormente attento all’efficacia dei suoi interventi piuttosto che al loro numero (perché, come dice Slow Medicine, fare di più non significa fare meglio) e, contemporaneamente, sia inserito in politiche generali che abbiano come filo conduttore l’attenzione in ogni decisione alla salute delle lavoratrici e dei lavoratori, delle cittadine e dei cittadini. Questo può essere favorito in particolare promuovendo una reale consapevolezza attraverso trasparenza e coinvolgimento facendo in modo che si sviluppi la partecipazione attiva della popolazione anche nei servizi sanitari.